“Ma dove vai, bellezza in bicicletta?”, non è solo una canzone, ma è diventata addirittura una frase quasi proverbiale, una locuzione entrata nei dizionari. E i versi successivi recitano: “Ma dove vai, bellezza in bicicletta, così di fretta pedalando con ardor? Le gambe snelle tornite e belle m’hanno già messo la passione dentro al cuor!”. (Leggi qui)
“Bellezza in bicicletta”
La “bellezza in bicicletta” nasce da una storia vera, per la precisione dalla storia di Alfonsina Neri Strada, diventata in questi giorni – al Festival dell’Eccellenza femminile di Consuelo Barilari a Genova – uno spettacolo di Andrea Nicolini interpretato da Laura Curino, “Alfonsina Alfonsina, il diavolo in gonnella”, che va in scena a cento anni esatti dal Giro d’Italia del 1924 raccontando “una storia di coraggio e parità di genere”. Proprio in quell’edizione fu la prima e unica volta, nella storia del Giro d’Italia, in cui una donna gareggiò insieme agli uomini.
La storia di Alfonsina
La storia di Alfonsina, nata nel 1891, inizia dalla prima bicicletta regalata ad Alfonsina da suo padre a Fossamarcia, frazione di Castenaso, provincia di Bologna, il paese della sua famiglia, in una storia che è tutta emiliana: lei nasce a Castelfranco Emilia, in una famiglia di dieci figli nati da due braccianti analfabeti che lavoravano nelle campagne emiliane e che arrotondavano prendendo in famiglia altri bimbi da provenienti da orfanotrofi per allevarli. Una storia nata dalla miseria, che però non fu mai perdita della dignità e della voglia di riscatto per i propri figli, tanto che il papà le regalò la prima bicicletta, e arrivata a successi che le valsero gli onori dello zar di Russia, del re Vittorio Emanuele e del duce che vollero incontrarla di persona. Alfonsina aveva come soprannome quello di “diavolo in gonnella”. Tanto diabolica da essere, per l’appunto, l’unica donna della storia a partecipare al Giro d’Italia. Peraltro con una motivazione particolare: la sua iscrizione venne accettata dagli organizzatori perché quell’anno la gara si prospettava senza i grandi nomi del ciclismo e aveva bisogno di un ‘fenomeno” che garantisse la comunicazione, e fu così che l’edizione del 1924 della Corsa Rosa divenne la più ricca di citazioni e di storia di sempre. Insomma, un capolavoro mediatico. Con un’attenzione particolare alle donne, che incontrò ovunque, con lo scopo di costruire una “coscienza nuova di sorellanza e di forza delle donne di tutto il mondo verso la parità”.
Perché decisero di farla partecipare
Quell’anno, il Giro prevedeva dodici tappe, per un totale di 3618 chilometri, da percorrere con bici pesantissime su strade bianche, tra buche, ghiaia e polvere. Alla tappa partita da L’Aquila e con l’arrivo a Perugia, Alfonsina cadde e ruppe il manubrio, che riparò con un manico di scopa, ripartendo. L’arrivo a Perugia fu oltre il tempo massimo, ma gli organizzatori del Giro trovarono un compromesso, come previsto dal regolamento per casi eccezionali, e Alfonsina poté proseguire la corsa. E anche in questo caso fu un capolavoro mediatico, come se gli organizzatori del Giro di quell’anno fossero influencer ante litteram: la sua prestazione sportiva stava attirando sempre più interesse da parte del pubblico e della stampa perché la prima ciclista della storia stava dimostrando come le donne potessero partecipare allo stesso modo degli uomini, sfidandoli in una competizione durissima. I giudici si divisero in due fazioni: chi voleva estrometterla e chi era favorevole a farla proseguire. Il direttore della Gazzetta, Emilio Colombo, che aveva permesso la partecipazione di Alfonsina al Giro e aveva capito quale curiosità suscitasse nel pubblico la prima ciclista italiana della storia, propose un compromesso: ad Alfonsina sarebbe stato consentito proseguire la corsa, ma non più considerata in gara. Lei acconsentì e proseguì il suo Giro.
La svolta nella vita
Alfonsina, che a un certo punto venne osteggiata dalla sua famiglia, trovò la svolta della sua vita (e della sua carriera) quando nel 1915, a 24 anni, sposò Luigi Strada, un cesellatore che invece divenne il suo primo supporter, regalandole come dono di nozze una bicicletta da corsa tutta nuova, prodromo al trasferimento a Milano e all’inizio degli allenamenti seri che la portarono al soprannome di “diavolo in gonnella”. Oltre all’episodio della scopa al posto del manubrio, nel Giro d’Italia 2024 Alfonsina corse regolarmente quattro tappe: la Milano-Genova, arrivando con un’ora di distacco dal primo classificato, ma precedendo molti rivali; la Genova-Firenze in cui si classificò al cinquantesimo posto su 65 concorrenti; la Firenze-Roma, giungendo con soli tre quarti d’ora di ritardo sul primo e davanti ad un folto gruppo di concorrenti, e la Roma-Napoli dove confermò la propria resistenza. All’arrivo di ogni nuova tappa veniva accolta da una folla che la acclamava, la festeggiava e la sosteneva con calore. Alfonsina continuò a seguire il Giro. Dei novanta corridori partiti, ne arrivarono a Milano solo trenta. E lei fu tra loro. Negli anni successivi venne negata ad Alfonsina la possibilità di iscriversi al Giro. Lei però partecipò ugualmente per lunghi tratti, conquistando l’amicizia, la stima e l’ammirazione di numerosi giornalisti, corridori e degli appassionati di ciclismo che continuarono a seguire le sue imprese con curiosità, rispetto ed entusiasmo. Partecipò poi a numerose altre competizioni, finché nel 1938, a Longchamp, conquistò il record femminile dell’ora, per la precisione 35,28 chilometri in un’ora.
Le seconde nozze
Rimasta vedova, Alfonsina si risposò a Milano, il 9 dicembre 1950, con un ex ciclista, Carlo Messori, con l’aiuto del quale continuò nella sua attività sportiva fino a che non decise di abbandonare lo sport agonistico. Ma la sua passione per la bicicletta non venne meno. Aprì, infatti, a Milano, in via Varesina, un negozio di biciclette con una piccola officina per le riparazioni. Rimasta di nuovo vedova, nel 1957, mandò avanti da sola il negozio. Ogni giorno, per andare al lavoro, Alfonsina usò la sua vecchia bicicletta da corsa indossando un’abbondante gonna pantalone. E abbandonò la sua bicicletta solo molti anni dopo, per una Moto Guzzi 500 a bordo della quale, il 13 settembre del 1959, morì all’età di 68 anni, in un’incidente. Lasciando un’eredità fortissima: in un’epoca in cui le donne nello sport venivano spesso osteggiate, Alfonsina sfidò ogni pregiudizio, contro tutto e tutti, dimostrando che anche loro potevano affrontare sfide enormi. Vincendole.
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