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Stefania Unida: “Io, la sclerosi multipla e i miei ragazzi che capiscono più degli adulti”

today12 Novembre 2024 25

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Stef come si fa chiamare, nasce nel 1982 a Cagliari. Si laurea in Scienze della Natura e poi completa un dottorato in Scienze della Terra tra Cagliari e Utrecht, in Olanda presso il Dipartimento LPP: “Sono specializzata in microgeobiologia, geoscienziata, ovvero in ricostruzioni paleoambientali e datazione di rocce antiche a partire da fossili di microrganismi unicellulari quali dinoflagellate, funghi e alghe freshwater”. Dopo la lunga esperienza oggi la professoressa Unida lavora a contatto con gli studenti, insegna loro Scienze e Matematica in lingua inglese ma non solo. Si spende soprattutto per spiegare loro a farcela nonostante tutto. 

Cosa è la Sclerosi Multipla

Come spiegheresti a una bambina cosa è la Sclerosi Multipla?
L’ho spiegato ai miei alunni prima che agli adulti a me vicini. È stato naturale, per me necessario, in quanto l’ultima ricaduta dopo la morte di papà e il mio trasferimento in Sardegna alla fine del 2022, hanno reso la mia malattia, dapprima invisibile, visibile e pertanto più invalidante per molti aspetti. Spiegare la presenza della stampella, le assenze per le numerose visite al day hospital, i mal di testa, la stanchezza cronica e tutti i nuovi sintomi a dei giovani adolescenti della scuola media, non è stato facile, ma sono portata a pensare che sia più difficile spiegarlo agli adulti, in quanto i bambini sono privi di sovrastrutture. Gliene ho parlato con parole adeguate alla loro età, ma senza nascondermi dietro mezze verità per addolcire la pillola. Non basta dare loro spiegazioni superficiali, non è sufficiente per accontentarli, fanno molte domande, forse a volte semplici e scontate, ma sempre concrete e crude. Se dovessi invece rivolgermi a una bambina di tenera età, potrei provare a spiegare la Sclerosi con la metafora di una zuffa tra amici, o come una guerra interna, quando i migliori soldati di un corpo militare, che di solito ci proteggono dai nemici, improvvisamente, per noia, decidessero di attaccare noi stessi, di attaccare i loro cari. La Sclerosi Multipla non si può “addolcire” con parole vane. I bambini comprendono attraverso le emozioni che percepiscono da chi narra, e spesso comprendono prima degli adulti.

Quali sono le maggiori differenze nell’insegnare in Italia o all’estero?
Dopo i miei numerosi anni di lavoro come geo-scienziata nel settore energetico, l’insegnamento è diventato una parte fondamentale della mia vita. All’estero e qui in Italia ho incontrato problematiche simili, sia nella didattica che nel rapporto genuino che si dovrebbe instaurare tra un insegnante e i suoi alunni. Tanta passione per ciò che si fa, ma troppo raramente una vera e propria vocazione educativa. Pensandoci su, credo che forse la differenza più tangibile nel mondo scolastico inglese rispetto al nostro, sia la grande enfasi che viene posta alla psicologia del bambino e al suo sviluppo emotivo importantissimo negli anni della scuola primaria e dell’infanzia. Ricordo scuole con aule designate all’autoregolazione del giovane adulto prima che entrasse in classe, prima che si sedesse su un banco per imparare nuove nozioni, perché per imparare bisogna essere psicologicamente pronti. Noi insegnanti dovevamo seguire continui corsi di aggiornamento che riguardavano le neuroscienze applicate ai teenagers, ai loro possibili problemi psicologici che non dovevano mai essere sottovalutati, e poi corsi incentrati sullo “scaffolding” (che è un termine che viene utilizzato in psicologia e pedagogia per indicare l’aiuto dato da una persona esperta ad un’altra per svolgere un compito al meglio). L’obiettivo di molti di questi corsi era insegnarci a vedere il mondo dal punto di vista dei ragazzi, con i loro occhi, non trascurando i nuovi problemi sociali che i giovani devono affrontare, le problematiche legate al loro corpo, ai social media, al cyber bullismo, alla pubertà, alle differenze di genere. Questa è la più grande differenza con la scuola inglese, in Italia ho la sensazione che siamo un po’ indietro.

Ha più limiti o pregi la vita in Sardegna, secondo te? 
Il mio sogno di adolescente è sempre stato quello di conoscere nuove culture, di vivere all’estero. La vita isolana mi è sempre pesata e il dottorato a Utrecht mi aveva aperto un mondo di nuove possibilità di espressione, non solo nell’ambito scientifico ma anche nel mondo della divulgazione e della scrittura creativa che avevo iniziato ad amare nel mio piccolo. Dopo Barcellona e Utrecht, ho vissuto per 12 anni in Inghilterra, prima lavorando come consulente scientifica nel settore energetico, e poi come insegnante e assistente professionale allo sviluppo. La Sardegna è diversa. Vivere qui adesso, alla mia età, dopo tanti anni all’estero, mi fa apprezzare di più la sua piccola realtà e tutte le differenze che ci sono rispetto ad una società più diversamente omnicomprensiva come quella inglese che però presenta altre difficoltà strutturali, forse meno visibili alla superficie ma comunque ugualmente radicate in un tessuto sociale estremamente diverso da quello sardo.

Cosa rimpiangi dell’Inghilterra?
È una domanda difficile. Potrei dire che mi manca tutto ma che alla fine non mi manca nulla. Quello che mi manca è più una sensazione nostalgica. Mi rendo conto che è il cuore che parla, che mi fa pensare al legno morbido in un angolo di casa che adoravo, alle foglie verdi delle piante che mi piaceva curare, a qualche fotografia appesa e alle mie statuine. Colori tenui e una luce soffusa, il tempo alla sera che mi metteva malinconia e si accompagnava con una piena indipendenza dal sapore salato di una lacrima che scorreva lungo il viso nelle notti insonni. Sembra dissonante, considerando i ritmi frenetici della vita inglese, eppure il tempo pareva scorrere più lento. Era un mondo “curioso” quello inglese, che faceva capolino oltre lo sconforto, in alternanza tra il buio totale e una luce accecante. Poi è cambiato tutto nel lampo di una telefonata di mia madre e divenne inevitabile tornare alle origini della mia terra natale. Ci si sbatte la testa nell’accettare che non si può appartenere a niente, a niente di fisico, perché lo spirito vaga, non ha pace, oltre il monotono ripetersi dei giorni, così per me il dover stare in un luogo fisico è divenuto meno importante e ci si rende conto che non si appartiene, si vive, pertanto, non rimpiango nulla di quella vita in Inghilterra.

Una scienziata così brava a comunicare. Mai cambiato idea sulla tua professione?
Ho fatto numerosi cambiamenti nella vita, tutti cambiamenti legati alla mia grande voglia di viaggiare e di conoscere il mondo. Ora lavoro a contatto con gli studenti, insegno Scienze e Matematica in lingua inglese ma spero di insegnare loro anche a farcela nonostante tutto, offrendo il mio esempio in primis. Insegnare ai giovani a lottare e combattere sempre, nonostante la malattia, insegnare loro che si può fare tutto, magari cercando vie alternative, mi dà la speranza di poter contribuire nel mio piccolo ad aiutarli a cambiare il mondo in meglio. Oggi ho la fortuna di insegnare a ragazzi di grande talento, ragazzi in un’età difficile e complessa e questo mi fa sentire un grande senso di responsabilità perché mi rendo conto che il loro futuro dipende in parte anche da me, ma che incredibile orgoglio provo per i risultati che riescono a raggiungere dopo tanti sforzi, non cambierei quella sensazione con nulla al mondo! I giovani sono sognatori curiosi e vorrei che nella società odierna così votata alla superficialità, non crescessero miopi e disinteressati. Vorrei che vedessero le cose che accadono vicino a loro e allo stesso tempo che si interessassero a quello che succede lontano. Nonostante il mio handicap, ho tanto entusiasmo e voglia di crescere con loro. Insegnare è anche questo: imparare e crescere insieme per me è il più bel lavoro del mondo. Da scienziata non posso fare a meno di occuparmi della divulgazione scientifica, ma per il momento ho deciso di farlo a tempo perso, come hobby. Qualche anno fa ho aperto un canale Instagram per parlare principalmente della mia compagna di vita, la sclerosi multipla. Faccio video e do informazioni che spero possano aiutare il maggior numero di persone a capire cosa è questa malattia, aiuto nella gestione dei sintomi di chi ne è affetto e sensibilizzo sul tema per chi non sa cosa sia.

Quale è il sogno per cui ora stai lottando? In generale quali sono i tuoi prossimi obiettivi?
Penso che dopo tanto tempo, il mio sogno si stia gradualmente realizzando. Insegnare e divulgare, sensibilizzare e incoraggiare giovani e adulti, è tutto ciò che voglio. Per il momento penso e credo di voler stare qui in Sardegna, vicino alla terra che mi ha cresciuta, vicino agli affetti familiari, a mia madre, ma vorrei continuare a fare ricerca se possibile con le Università internazionali con le quali sono ancora in contatto, e continuare il mio lavoro di insegnante di Scienze e Matematica nella scuola media. Continuerò dunque per hobby, a fare divulgazione scientifica tramite i social (Instagram – il contatto è @prof_drgeek) e spero di riuscire a collaborare presto con giornali locali e altri media regionali attraverso piccoli e grandi progetti di condivisione, per aumentare la consapevolezza sulla patologia. Per ora i miei mezzi sono ridotti, eppure penso che il sogno per cui lotto da tempo, ovvero quello di divulgare le Scienze, con gioia e umiltà, sensibilizzando sulle malattie invisibili, possa un giorno estendersi, divenire un sogno di tanti e per tanti.

Il libro

Stefania Unida ha appena pubblicato un libro ora disponibile sulla piattaforma Amazon dal titolo Fragile, “un libro che non è soltanto una raccolta di vecchi ricordi personali, ma anche la storia, in ordine cronologico, della mia vita insieme a una coinquilina crudele, una patologia che prima toglie e poi dà. Un viaggio lungo, che è iniziato subito dopo la diagnosi, fino alla decisione di fare ritorno nella mia città natale”. Insieme a questo, ci sono una serie di “racconti dall’altra parte” che sono parzialmente autobiografici, altri sono opera di pura fantasia. Un libro che è rimasto chiuso nel cassetto per tanti anni.



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Scritto da: redazione

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