Abbiamo incontrato il cast di Citadel: Diana nel corso della conferenza stampa romana
Mentre sono in corso, in Inghilterra, le riprese della seconda stagione di “Citadel”; a Roma è stato presentato lo spin off tutto italiano con protagonista Matilda De Angelis nei panni di Diana.
Fin dai suoi primi episodi, Prime Video aveva annunciato la vastità del progetto che caratterizzava questa serie di spionaggio. Non delle puntate che si concentrassero esclusivamente su un luogo, ma una vera e propria differenziazione culturale che venisse calibrata secondo le differenti nazioni. Arriva, così, il 10 ottobre “Citadel: Diana”: sei puntate co-prodotte da Cattleya e Amazon MGM Studios, che trasportano tutta la loro italianità in questo progetto.
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Il forte carattere che contraddistingue questa serie è ben presente fin dalle sue prime immagini. Siamo in una Milano nel 2030, un luogo devastato da politiche interne che hanno portato solo a un mal contento generale. Qui la guerra tra Manticore e Citadel diventa sempre più viva proprio attraverso la sua protagonista: Diana è in tutto e per tutto un’infiltrata all’interno di Manticore.
Senza eccedere troppo con i dettagli di trama, possiamo dire che l’attenzione che la produzione ha dato ai dettagli è ciò che costituisce il cuore di questa serie. La visione delle prime immagini fa emergere immediatamente il carattere nostrano, nonostante il nostro paese abbia lasciato un po’ indietro la produzione di genere.
Durante la conferenza stampa è emersa proprio l’esigenza di raccontare un punto di vista “strettamente nostrano”. La regia è curata da Arnaldo Catinari, lo sviluppo è stato opera di Alessandro Fabbri – head writer della serie – e la scrittura della sceneggiatura è avvenuta in collaborazione con Ilaria Bernardini, Gianluca Bernardini, Laura Colella e Giordana Mari.
La realtà in cui si muove Diana, quindi, è interessante da analizzare e osservare. In queste sei puntate abbiamo un vero e proprio ribaltamento dei ruoli canoni del genere, elemento fondamentale su cui la stessa Matilda ha affermato: “quando sei bambino hai bisogno di vedere qualcosa che ti somigli, no? O che in qualche modo ti appartenga… in questo senso sono contenta di aver fatto una spia che magari possa essere un modo per poter appassionare le bambine di oggi al genere”. Ha inoltre ribadito quanto sia stato duro e fisico il suo rapporto al personaggio, considerati i mesi di training e le lezioni da stunt che ha intrapreso per potersi incollare quanto più possibile a questa protagonista.
L’italianità, in ogni caso, viene definita principalmente dalle scelte visive che sono state compiute. L’adesione a un racconto di un’Italia post-futurista, un po’ com’era stata immaginata dai nostri artisti, si riscontra perfettamente con le scelte compiute nei costumi e nelle scenografie. È tutto molto squadrato, geometrico, e ciò è stato sottolineato proprio da Arnaldo Catinari durante la conferenza stampa: “la serie, da un punto di vista delle immagini, vuol essere iconica. Una costruzione di immagini che possano essere, in qualche modo, ricordate”.
Tornando sulla nostra protagonista, Matilda ha sottolineato le sensazioni che ha provato nel tenere in mano una pistola durante i primi giorni di ripresa: “maneggiare le armi non è in assoluto piacevole. Hanno un peso specifico, sia fisico che emotivo, molto grande. Le armi, chiaramente, non erano armi vere, ma hanno il peso di quelle vere. Ricordo ancora adesso la sensazione della prima volta in cui ho tenuto in mano una pistola e mi sudavano le mani… mi batteva il cuore fortissimo perché, e credo che questo ci dica molto della direzione che sta prendendo il nostro futuro, è innaturale tenere in mano un oggetto così piccolo e potenzialmente così letale. È inquietante e spaventoso… detto questo, Matilda si è messa da parte e ha fatto si che diventasse qualcosa di estraneamente meccanico e confidenziale. Verso la fine della serie, in realtà, scarrellavo come una pazza e tiravo fuori i caricatori mentre camminavo”.
Una produzione che, quindi, si è mossa secondo due paletti ben precisi: “rispettare la mitologia” che era stata già costruita con la prima stagione di Citadel; e la seconda “costruire un racconto che fosse ben ancorato alla struttura socio-culturale del paese”. Se il secondo paletto sia stato rispettato lo si lascerà decidere al pubblico che avrà modo di consumare quanto prima le nuove puntate. Dalla cura che è stata dichiarata, in ogni caso, si evince quanto realmente stiano a cuore tali punti di vista nell’esecuzione di questo progetto. Del resto, oltre a “Citadel: Diana” si aspetta l’arrivo di “Citadel: Honey Bunny” che porterà in scena tutto il fascino di Bollywood.
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