Complice un libro praticamente sconosciuto in Italia e un adattamento davvero poco ispirato, Il mondo di Harold non ha niente da offrire al pubblico italiano.
Nel 1955 l’illustratore per bambini Crockett Johnson creò un libro dedicato ai più piccoli che divenne un classico per la letteratura d’infanzia nel mondo anglosassone, ancor oggi letto, ristampato, molto amato. Il protagonista del volume era Harold, un neonato che, armato di un magico pastello a cera violetto, disegnava cose, animali e veicoli che prendevano magicamente vita intorno a lui. I suoi compagni di viaggio erano Porcospino e Alce. Narrata in terza persona, la storia magica di Harold era guidata da una voce narrante.
Il successo fu tale da portare alla realizzazione di una decina di volumi successivi e a numerosi adattamenti. Successo che è palpabile da spettatori italiani di una pellicola che cerca di portarne l’eredità su grande schermo. Il pubblico di riferimento di Il magico mondo di Harold è chiaramente quello formato da chi è cresciuto con la magia del piccolo Harold e chi ha l’età giusta per sfogliarne le pagine e apprezzarne la magia. Non è un “lost in translation” così difficile da colmare. Certo il pubblico italiano scopre una storia nuova, non arriva in sala ansioso di ritrovare un vecchio amico, ma non è proprio questo il punto dell’universalità del cinema.
Harold: una storia sconosciuta in Italia e mal adattata
L’avvio del film è, prevedibilmente, animato. Il piccolo Harold crea i suoi amici, si muove per il suo mondo, cresce e si diverte, guidato dalla voce del Narratore che ne commenta e punteggia le avventure. Solo che, improvvisamente, la voce esterna scompare e Harold rimane senza punti di riferimento, senza la voce che lo guidava dal mondo reale. Decide così di andarci, nel mondo reale, disegnando una porta attraverso cui passare. Quando il lungometraggio lascia il mondo animato per quello reale, viene subito da chiedersi il perché di questa scelta. Il mondo magico di Harold nasce come storia illustrata, perché non trasformarla in un film d’animazione?
Sarebbe la conseguenza più logica, invece ecco che vediamo ruzzolare Zachary Levi con un tutone blu per un parcodi una grande metropoli statunitense. Lo seguirà a breve Alce che, per nessun motivo apparente e coerente, si trasformerà in umano, destino che condividerà con Porcospino, che arriverà poco dopo ma rimarrà separata dal gruppo. Né Lil Rel Howery né soprattutto Tanya Reynolds (Sex Education), ma forse davvero nessuno, meritavano il ruolo ingrato che tocca ai due, incastrati in un personaggio da Fantabosco ma in una produzione cinematografia che vorrebbe avere ampio respiro. I due scimmiottano le movenze del loro animale di riferimento seguendo a ruota Zachary Levi, che con i capelli così tirati indietro e l’attitudine fanciullesca e un po’ ingenua non fa che ricordarci il suo ottimo Shazam!
Purtroppo per lui però nel ruolo della versione adulta e gigioneggiante del piccolo Harold mette vagamente a disagio il pubblico. Non c’è davvero modo di non farlo sembrare strano e lievemente imbarazzante il suo ritorno nei panni di adulto che però ha l’attitudine spensierata di un bimbo, anche perché stavolta nulla vietava di scritturare un ragazzino vero e proprio per il ruolo.
Prevedibilmente per giustificare la presenza della sua star il film comincia a girare su sé stesso in un vortice di situazioni noiose e mai davvero ficcanti, in cui rimane incastrata anche una rediviva Zooey Deschanel nei panni di una mamma single che cresce un bambino sognatore.
Vedendola affrontare con aria sconfortata e rassegna un film che per gli adulti non riserva davvero nessuna sorpresa, a partire da dove sia finito il Narratore di Harold, scatena nello spettatore l’emozione più forte: ci sentiamo rappresentati dallo sguardo stanco e dalle braccia conserte con cui Deschanel affronta questo set e la vita in generale. Il suo volto sembra spesso dire: “mi tocca farlo, ma no vuol dire che mi stia godendo questo momento”.
Il mondo magico di Harold ha un look tutt’altro che magico
La storia insomma non sfrutta davvero la forza del racconto originale, troppo impegnata ad accampare scuse per giustificare la scelta di realizzare un live action e di avere Levi come protagonista. La produzione è davvero qualcosa di penoso nella sua pochezza. Giusto per dare un’idea della pochezza dell’operazione. In confronto il primo Spy Kids – storica saga live action pensata per il pubblico dei più piccoli – uscito nel lontano 2001 e prodotto con mezzi che potremmo definire “di fortuna” vanta 20 e passa anni dopo un look più cinematografico, degli effetti speciali meno pasticciati di quelli visti in questo film.
Il magico mondo di Harold ha una regia sciatta, una fotografia davvero sgradevole e dalla color correction continuamente altalenante, qualche grossolano errore di montaggio e davvero un brutto look da produzione televisiva di bassa qualità. Difficile dire se conquisterà il pubblico dei più piccoli, a cui è indirizzato. Di certo si rivela un supplizio per quello dei loro accompagnatori.
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