Scopriamo perché God is a Bullet, ispirato a una storia vera, fallisce
God is a Bullet è l’adattamento cinematografico firmato da Nick Cassavetes, che ne cura regia e sceneggiatura, dell’omonimo romanzo (edito in Italia con il titolo Dio è un proiettile) di Boston Teran.
Produzione Sky Original, il film – disponibile su Sky on demand – ha per protagonisti Nikolaj Coster-Waldau (Jamie Lannister ne Il trono di spade), Maika Monroe (protagonista dell’horror cult It Follows) e il Premio Oscar Jamie Foxx (Ray, Django Unchained).
La trama di God is a Bullet
È quasi Natale. Il detective della polizia Bob Hightower (Nikolaj Coster-Waldau) scopre con orrore che la sua ex moglie e il nuovo marito sono stati brutalmente assassinati e che la figlia adolescente Gabi
(Chloe Guy, Guardians of the Tomb) è sparita. La polizia brancola nel buio ma Bob ottiene inaspettatamente l’aiuto di Case Hardin (Maika Monroe), una ex tossicodipendente che è riuscita a fuggire dalla setta satanica che aveva rapito lei quando aveva appena 11 anni e che, secondo Case, ha ucciso la famiglia di Gabi e l’ha rapita. Il leader della banda, Cyrus (Karl Glusman, Animali Notturni) è un uomo molto pericoloso e Case sa che, per riportare a casa Gabi, dovrà scatenare una guerra contro di lui. Così aiuta Bob a fingersi uno di loro per riavvicinare Cyrus…
Basato su una storia vera: la storia di Rose
Il film riporta la scritta “ispirato a fatti realmente accaduti” e prende le distanze da eventuali problemi scaturiti da similitudini con la realtà per la parte drammatizzata della storia.
In realtà, il romanzo di Boston Teran, pubblicato nel 1999, è ispirato a un viaggio che Teran fece in Messico: da lì prese l’ispirazione per i luoghi e i personaggi di Dio è un proiettile.
Ma 4 anni prima, nel 1995, una ragazza venne rapita da una setta satanica e sottratta alla famiglia nella settimana di Natale. Il caso fece parlare molto delle sette, realmente esistenti e molto difficili da rintracciare perché i loro membri usano solo contanti, non hanno documenti di identità, patenti o indirizzi né telefoni cellulari da trovare.
La ragazza venne poi recuperata dalla madre, Rose (che in realtà ha ispirato il personaggio di Case Hardin nel romanzo), che riuscì a riportarla a casa dopo un periodo d’inferno.
Ci sono molte differenze fra il romanzo e il film che ne è stato tratto. Il romanzo è infinitamente più crudo, violento, Bob è un ex tossicodipendente e la violenza è rappresentata in modo ancora più scioccante.
C’è un abisso fra il romanzo e il film, nonostante le ottime interpretazioni del cast.
God is a Bullet: restare in superficie senza rispondere alla domanda più importante
Il grande errore di God is a Bullet, che evidentemente Cassavetes ha apprezzato esclusivamente per la parte “action” e da revenge movie, è non rispondere alla domanda principale, ovvero: chi sono queste persone?
Non sappiamo nulla di questa setta, se non che predica la violenza, ruota attorno a un leader che si dice adoratore del “principe” (Satana), che rapisce ragazzine, traffica in droga e vive ai margini della società.
Non ci viene raccontato nulla di Cyrus, non sappiamo perché agisce, da quanto, cosa lo ha avvicinato al satanismo. Non si parla di rituali, abitudini, niente: solo i crimini e la violenza imperante, costruita attorno al culto di Cyrus.
Cassavetes, anziché concentrarsi sulla parte davvero interessante della storia, cioè la facilità con cui questi criminali agiscono, cioè che li spinge a scegliere le proprie vittime e perché, ha scelto di raccontarci solo lo scontro fra un padre in cerca della figlia e una ragazza in cerca di vendetta e riscatto.
Con una tematica discussa – e sulla quale molti si dimostrano scettici – come il culto delle sette sataniche, bisognava fare almeno delle premesse. Dare qualche risposta, ci avrebbe fatto sentire meno disorientati e sarebbe stato anche più efficace dal punto di vista della tensione, perché avremmo saputo quali e quanti rischi correvano Bob e Case nello sfidare Cyrus.
Manca ogni approfondimento psicologico relativo ai personaggi, mancano la coerenza narrativa, la preparazione – un poliziotto non improvvisa per “rabbia” uno scontro che è destinato a perdere, mettendo in pericolo sua figlia – ogni forma di verosimiglianza.
Non riusciamo ad apprezzare questo film, se non per la bravura del cast e la cupezza di alcune fra le scene di scontro più violente, con un’ottima colonna sonora. Ma nulla di più.
La profondità del discorso con cui Case ci spiega perché Dio è un proiettile si perde in mezzo a un’accozzaglia di eventi che sembrano messi lì in fila, senza cause e conseguenze.
Ogni potenzialità del romanzo, che invece ci avviluppa in un mondo disturbante e disturbato tenendoci con il fiato sospeso e terrorizzandoci, viene sprecata in nome dell’amore per l’aspetto visivo del cinema.
Fotografia, regia, direzione degli attori, colonna sonora: tutto ottimo dal punto di vista tecnico, ma senza cuore e spiegazioni questa storia resta troppo in superficie. Tanto da non farci appassionare alle storie dei personaggi – per esempio non ci viene mostrato nulla del “prima” di Case e del “dopo” di Gabi.
Un semplice esercizio di stile. Ben fatto, ma vuoto.
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