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Il familicidio di Paderno: lo sconvolgente movente di Riccardo C. e come prevenire le stragi in famiglia

today9 Settembre 2024 30

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“Familicidio” è il neologismo coniato nel 2018 che definisce il crimine di Riccardo C., il diciassettenne che il 1 settembre ha annientato a coltellate il padre, la madre e il fratello di soli dodici anni. Dopo lo sterminio Riccardo ha chiamato i soccorsi e ha cercato d’incolpare il padre con una fantasiosa ricostruzione, per poi ammettere: “Li ho uccisi io”.

Un figlio modello

La confessione di questo adolescente “figlio modello” sta sconvolgendo l’Italia soprattutto perché il familicidio si sarebbe consumato in un contesto di assoluta normalità e perché l’omicida è un ragazzo di buona estrazione che non avrebbe manifestato segni apprezzabili di disagio, né mai assunto atteggiamenti aggressivi.

Le parole dell’omicida

“Mi sentivo un estraneo in famiglia”, “Volevo sentirmi libero”, “Pensavo da un po’ di ucciderli”. Queste le prime “spiegazioni” insondabili di Riccardo. A distanza di giorni le sue confessioni continuano ad essere frammentarie e sconnesse, come se lui stesso fosse sopraffatto dall’orrore incommensurabile di cui è colpevole come da un enigma senza soluzione.

La ricerca di un senso all’orrore

Psicologi, psichiatri e criminologi chiamati dai media a dipanare il groviglio non confortano. Convergono sull’impossibilità di dare un vero e compiuto senso al Nulla che rimbomba ossessivamente nelle parole vuote degli psicopatici omicidari, giovani e meno giovani. “Non so perché l’ho fatto”, “Solo uccidendoli avrei risolto il mio profondo disagio”, “L’ho pensato e l’ho fatto …”. Il senso di vuoto e vuoto di senso psichico, affettivo ed esistenziale è spesso l’unico sconvolgente movente. Riccardo C. ha deciso d’inghiottire nel proprio Nulla l’intera famiglia, rea di vivere con manifesta serenità e gioia gli accadimenti, i progetti e le emozioni; sentimenti di pienezza e d’amore in continuo e lanciante contrasto con la vuotezza e l’apatia celate da Riccardo C. con silenzi mimetici.

La derealizzazione e l’anomia

La dearealizzazione e l’anomia. Da un punto di vista psicopatologico si può ipotizzare che nel familicidio di Riccardo C. abbiano giocato un ruolo cruciale due fattori: la derealizzazione e l’anomia. 

La derealizzazione è una condizione psichica caratterizzata da un forte distacco emotivo con sensazioni di ovattamento o ottundimento emotivo; ovvero indifferenza talvolta mista a invidia e/o disgusto o odio verso gli altri e il mondo. Chi soffre di derealizzazione riferisce si sentirsi come fantoccio, un burattino in un teatrino artificiale, dove anche gli altri possono essere percepiti come manichini “falsi”, ostili o come oggetti da distruggere. 
 che induce chi ne soffre a nascondere persino alle persone più vicine il proprio disagio individuale e sociale, rendendo così probabile l’aggravarsi dei sintomi.

L’anomia. L’anomia consiste nell’impossibilità d’interiorizzare l’esistenza di norme e regole sociali, di limiti e confini interpersonali; con conseguente difficoltà di rispondere a tali norme condivise senza provare angoscia, inadeguatezza, risentimento e aggressività verso chi (famiglia, amici, scuola, società). Nella persona anomica i concetti di giusto e sbagliato sono sfumati, intercambiabili e soggetti a mutamenti repentini, secondo lo stato dell’umore o l’impulso del momento. L’anomia riflette un deficit dello sviluppo del senso morale e quindi è uno dei vissuti più comuni dei responsabili di condotte delinquenziali, violenze e omicidi.
Da quanto trapela dalle cronache, le parole e le reazioni di Riccardo C. riguardo il familicidio sembrano riflettere una grave compromissione della capacità di comprendere il significato della strage e, di conseguenza confessarne il “vero” movente.

L’appiattimento emotivo degli adolescenti

La vicenda di Riccardo C. ha allarmato decine di migliaia di famiglie con figli adolescenti perché delitti basati sull’appiattimento emotivo (il Nulla, la derealizzazione e l’anomia) consumati senza rilevanti segnali premonitori o indicatori comportamentali predittivi restituiscono alla collettività una percezione d’impotenza e di paura. L’aumento di violenze famigliari e familicidi nel nostro Paese deve essere fronteggiato con decisione rendendo capillari e accessibili a tutti servizi psicologici e sociali per la famiglia e garantire assistenza a chi dall’infanzia all’età adulta necessiti di un aiuto per la salute mentale. Solo così potremo prevenire stragi come quella di Riccardo C. e, soprattutto, rendere davvero efficace l’intervento di psicologi, psicoterapeuti e psichiatri chiamati troppo spesso quando la sintomatologia è ormai estrema o coinvolti solo dopo eventi irreparabili, come nel caso di Riccardo.





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Scritto da: redazione

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