Una Madonna così non l’avevamo mai vista al cinema. È la protagonista del film Il Vangelo secondo Maria del sardo Paolo Zucca, presentato in anteprima al Torino Film Festival, e tratto dall’omonimo libro di Barbara Alberti del 1979. “Una Madonna che finalmente ride e lontana dai canoni classici: obbediente, serva e che doveva partorire il figlio di Dio con dolore”, afferma l’autrice. Qui Maria, interpretata da Benedetta Porcaroli, è ribelle: si scontra col padre che vuole a tutti i costi maritarla e si ribella a Dio, quando le impone di dover partorire il figlio degli uomini.
La Madonna di Benedetta Porcaroli: ribelle, affamata di conoscenza e moderna
Maria è una ragazzina affamata di conoscenza e per questo sceglie come maestro Giuseppe (Alessandro Gassmann), “un uomo intelligente, acculturato, che incontrando una ragazzina in difficoltà si mette al suo servizio e la indirizza verso la conoscenza e la libertà. Auspicherei che anche nell’Italia di oggi ci fossero più Giuseppe. E ci sono, mi ci metto anche io in mezzo. E da questo Giuseppe dovrebbero imparare la gentilezza”.
Gassmann: “Il mio Giuseppe moderno. Oggi ci vorrebbero più uomini gentili come lui”
Zucca insieme a Barbara Alberti e agli sceneggiatori attualizza una storia arcaica e la ambienta nella sua Sardegna, che trasforma come la Matera de Il vangelo secondo Matteo di Pierpaolo Pasolini. “Il regista rende questa storia violentemente attuale come lo era il romanzo di Barbara a fine anni Settanta”, afferma Gassmann – Maria e Giuseppe sono due personaggi contemporanei, quasi senza tempo”. Maria è una donna forte, “mi piacciono queste donne forti. Ne conosco tante e con una ci vivo insieme. Mio padre era convinto che se il mondo fosse stato governato dalle donne vivremmo in una società migliore. Comunque siamo sempre in tempo a cambiare questa tendenza”.
La Sardegna, tra modernità e arcaicità
Paolo Zucca individua la Palestina nella sua Sardegna. “Non ho ricostruito quel mondo arcaico in modo filologico, altrimenti avrei dovuto abbattere i fichi d’india e gli alberi di eucalipto, ho fatto come Pasolini nel suo film – spiega il regista sardo – abbiamo evocazione quel mondo antico grazie al patrimonio etnografico e archeologico della Sardegna. In alcuni casi ho utilizzato il dialetto sardo, come nel coro delle lavandaie, quasi fosse un coro greco – racconta Zucca – il loro modo di muoversi e i loro sguardi hanno qualcosa di spontaneo e ancestrale. Non credo che quella scena, se avessimo utilizzato l’italiano, sarebbe venuta altrettanto bene”.
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